Lo sgombero del centro sociale Corto Circuito ha scosso gran parte della città di Roma. Ma i 26 anni di storia e di attività popolare nel quartiere non si cancellano
Sarebbe bastata un’occhiata veloce alla manifestazione nata spontaneamente in difesa dello sgombero al centro sociale Corto Circuito di Roma, avvenuto giovedì 13 ottobre, per capire cosa vuol dire curare i beni comuni e tenere a ciò che si è costruito. Cosa significa affezionarsi a qualcosa. O semplicemente: riconoscere e legittimare una situazione che esiste di fatto.
Il tecnicismo serve a governare quando non si ha una visione politica, né la capacità di dar vita alle proprie idee, qualora ci fossero. La legge di carta, il giustizialismo portato allo stremo sono le cose a cui si appella colui che non è in grado di esporre una visione globale d’insieme, o che manca di coraggio.
La politica serve a dare una direzione, a scegliere ciò che si ritiene giusto nel rispetto di se stessi e degli altri.
Virginia Raggi e la strampalata giunta del Comune di Roma stanno dimostrando di non avere una visione politica per la città, né tanto meno una visione.
C’erano migliaia di persone pronte a difendere il Corto Circuito, uno spazio costruito grazie alla spontanea aggregazione, auto-organizzato per realizzare qualcosa di funzionale, utile e bello. Tutto questo in assenza della politica ufficiale, troppo incentrata su se stessa per conoscere o comprendere i bisogni di un quartiere di periferia, dimenticato e lasciato nell’incuria di se stesso.
La politica sociale che nasce dalle persone per trovare una soluzione alternativa al desertificazione culturale non viene apprezzata, perché l’unione rende forti e liberi. Ma nel quartiere Lamaro da 26 anni ci sono persone che spendono parte della propria esistenza per costruire qualcosa per se stessi e per gli altri da lasciare ai figli.

Foto della manifestazione in difesa del Corto Circuito, Roma
Il Corto Circuito è uno spazio di aggregazione, dove i lunghi tavoli della taverna popolare facilitano la discussione e la conoscenza dell’altro, perché ti ritrovi a mangiare ottime pizze vicino a perfetti sconosciuti che ti sembra di conoscere da una vita. Se hai pochi soldi e vuoi fare sport c’è la palestra popolare. Se hai bisogno di far fare ripetizioni ai tuoi figli ci sono il doposcuola e i corsi. Se vuoi andare al parco c’è quello dedicato a Stefano Cucchi. Se vuoi ascoltare un po’ di musica ci sono le serate e i concerti. Dovunque si vedono giovani, anziani e bambini.
Molte persone non sanno cosa dicono quando parlano dei centri sociali, solo chi li vive o li ha vissuti è in grado di rimandare la libertà che si respira all’interno. Sono ambienti vitali che favoriscono la conoscenza.
I giornali hanno titolato che il Corto Circuito ha commesso “gravi danni”. Non è vero: costruire un tendone sopra le ceneri di un fabbricato distrutto da un incendio, finanziato con iniziative di sostegno e con la campagna di raccolta fondi “Senza Corto non so stare”, non può essere ritenuto abusivismo edilizio. Quel tendone serviva a rendere vivo quel posto, a incoraggiare una nuova partenza. Esattamente come il fabbricato che si stava realizzando con moderne tecniche di bioedilizia e senza impatto ambientale.
Pensiamoci, cos’altro c’è lì intorno?
Case, palazzi, un grande supermercato. E se lo spazio del Corto Circuito, che appartiene al Comune di Roma, servisse a dar vita a un grande parcheggio per quel supermercato? Saremmo in linea con le direttive europee personificate nell’ex commissario Tronca e attivate dalla delibera 140 di Ignazio Marino: privatizzare e mettere a frutto ogni angolo della città, finanziando le banche e togliendo ogni margine di attività sociale in grado di stimolare e sviluppare il libero pensiero.

Foto dello sgombero del Corto Circuito, Roma
Questo sarà il primo banco di prova per la neo-sindaca: decidere da che parte stare.
E nel caso in cui venisse continuato lo sgombero, dovrà prendere il coraggio con due mani per dire a quei bambini che non avranno più il doposcuola, né la palestra, né il campetto di pallone gratuito. Ai giovani e agli anziani dovrà dire che non potranno più mangiare ottime pizze con due soldi. E dovrà dichiarare pubblicamente a un quartiere che l’unica parte viva è stata uccisa all’ombra di un supermercato.
Ma forse sarebbe più facile legalizzare una situazione di fatto.
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